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Racconto breve: Una corsetta al parco


di SalBsx
13.09.2023    |    251    |    0 9.0
"Pur non essendo mia abitudine dare frutta al primo che mi capita, ho pensato che se avessi lasciato li dov’era ma soprattutto così com’era, quella che avevo..."
Racconto breve: Una corsetta al parco.

Non era nemmeno iniziato il terzo giorno di ferie quando ho ricevuto la telefonata di un cliente; uno di quelli…normali, non quello che ormai mi scopa quando voglio; che pur riconoscendo l'inopportunità del momento insisteva comunque per incontrarci la mattina seguente. Vincendo a fatica le resistenze della mia dolce Semilesboputtanella; è complicato toglierle l'uccello di bocca se non vuole: morde; averla calmata con una scopata vista mare, averle promesso di tornare al massimo nel tardo pomeriggio dell’indomani e aver ricevuto la garanzia che non si sarebbe portata in casa ne giovenche ne tantomeno puledri prima del mio ritorno, ho fatto una doccia, ho preso l’autostrada e sono tornato a Milano. Avendo le chiavi sono passato subito in ufficio a prendere le cose che mi sarebbero servite il giorno dopo e dato che poi non avevo nient’altro da fare, ho deciso di andare a correre. Sistemate borsa e documenti mi sono infilato un paio di vecchie scarpe da tennis, canottiera, pantaloncini e… mutande, ho ripreso la macchina e sono andato al parco. Dopo pochi minuti però mi ero già rotto le palle e dato che faceva un caldo porco e che inoltre a me correre alla fine non piace, stavo seriamente pensando di girare il culo e tornarmene a casa. Mentre ragionavo che per mantenere allenamento e forma fisica potevo tranquillamente mettermi a giocare con me stesso e coi surrogati dimenticati non volutamente nel cassetto dell’armadio pochi giorni prima, ho visto in lontananza un runner solitario a torso nudo e ho cambiato idea, ho pensato di raggiungerlo e che magari attaccando bottone avrei potuto finire il giro in compagnia. Quando si è fermato a fare stretching ero ancora abbastanza indietro ma ho rallentato comunque sperando che ripartisse alla svelta ma più mi avvicinavo, più mi sembrava averne pieni i coglioni anche più di me e dato che ormai ero lontanissimo dall’auto ho sbuffato, ripreso il passo e mi sono rassegnato a proseguire da solo. Nel momento in cui gli sono arrivato vicino si è messo nella posizione del ponte e io non ho potuto fare a meno di farmi folgorare da quanto all’improvviso gli si fossero gonfiati gli short. Correvo cercando di infilare lo sguardo dentro quei pantaloncini, correvo piano con gli occhi che fin che han potuto sono rimasti fissi su quel punto, correvo sempre più piano guardando all’indietro irretito da quella forma, correvo pianissimo immaginando di tirarglieli giù, correvo quasi da fermo sognando cosa avrei potuto subire da tutto quello che ne sarebbe uscito. Quando hai caldo tra le chiappe, ti si muove qualcosa tra le gambe ma soprattutto quando non riesci a toglierti certi pensieri dalla testa, ti risulta difficile fare qualsiasi cosa, figuriamoci correre anche solo sul posto, ma se ti dai una strizzata ad un capezzolo e magari anche uno schiaffo sul culo, riesci comunque a forzarti a ripartire anche se le immagini, i pensieri, il calore e la roba che comunque ti si ingrossa e spinge ti obbligano ad assecondare l'irresistibile tentazione di voltarti e guardare ancora una volta quel rigonfiamento. Nel momento in cui per forza di cose la testa mi si è girata ho scoperto che siccome io gli avevo “lumato” il cazzo da lontano, lui aveva deciso di venire a guardarmi il culo da vicino e subito dopo che quei due avrebbero dovuto fare conoscenza. Mi aveva colto di sorpresa e tolto fiato più del correre perciò, quando mi ha chiesto se la pensassi come lui non ho fatto altro che alzare il pollice e seguirlo. Poche centinaia di metri dopo, mentre mi consigliava di stare più attento la prossima volta che avessi avuto un certo tipo di pensieri; in meno di cento metri avevo infatti rischiato di investire una vecchina, di fare un incidente con un passeggino, un frontale con un cretino col monopattino e anche di farmi azzannare da un paio di menopausate padrone di cani in quanto ero prima inciampato nel “mio Fuffy” e poi avevo preso inavvertitamente a calci la povera ed ovviamente innocente “Matilde”; ha preso un sentierino laterale che si infilava tra alberi e arbusti, si è fermato in prossimità di un vecchio muro pieno di rampicanti, si è guardato intorno, si è tolto i pantaloncini e mi ha augurato buon appetito. Ho messo le mani a coppa e ho raccolto i suoi testicoli che penzolavano grandi e di certo pieni come piacciono a me, ho iniziato a massaggiarli, leccarli ed aspirarli divertendomi poi ad infilare la faccia tra loro e quel suo membro dalla forma particolare, più stretta alla base e più larga e rotonda in cima, che si agitava, pulsava, mi cadeva e ricadeva sulla fronte ma che piano piano cresceva e si induriva fino a non poterlo fare più. Parlava di aperitivo e diceva che era ora dell’antipasto, parlava di olive e diceva di aver capito che mi piacciono, parlava e diceva continuamente cose riguardanti il mangiare qualcosa di secondo lui più gustoso ma dato che non lo ascoltavo è indietreggiato, mi ha dato una “pisellata” in faccia e mi ha detto che se avessi assaggiato quello che mi aveva appena colpito, sarebbe stato meglio per entrambi. Parlava di primi e secondi, parlava di intingoli e di bistecche e mentre mi sfiorava il pensiero che forse era un cuoco, mi ha messo due dita sotto le spalline e io d’istinto ho sollevato le braccia e ho visto la mia canottiera sfilarsi e finire sull'erba, mi ha afferrato sotto le ascelle tirandomi letteralmente in piedi e mentre io salivo, lui, i miei pantaloncini e i miei slip scendevano e di nuovo d'istinto ho sollevato prima un piede e poi l'altro e ho visto il resto dei miei vestiti atterrare su un cespuglio li vicino e in un attimo, mi sono ritrovato nudo. Nudo ma con le scarpe da tennis, nudo in pieno giorno a Milano, nudo al parco dove sembrava non esserci nessuno e invece sentivo voci e intravedevo gente passare, nudo vicino ad vecchio muro non lontano dal quale era chiaro ci fosse la fermata di qualche autobus, nudo più o meno appartato in un boschetto neanche tanto fitto, nudo e pronto a fare sesso con uno sconosciuto, nudo sudato, accaldato ed eccitato, nudo con mille pensieri in testa, nudo e felice di esserlo come non mai! Mi sono sentito afferrare e mi sono ritrovato a fare un giro su me stesso, ho sentito le sue mani che mi prendevano le natiche, le allontanavano una dall’altra, le riavvicinavano, le strizzavano, le sollevavano, le allargavano, le chiudevano e le riallargavano di nuovo e poi ripetevano gli stessi movimenti decine e decine di volte e mentre mi sentivo amalgamato come fossi l’impasto di un Hamburger, qualcosa ha fatto intrusione dentro di me e li, nudo nel boschetto del parco, avrei voluto che quella lingua fosse lunga e grossa tanto quella di una vacca: una vacca tale e quale a quella che sentivo e sapevo di essere io in quel momento. Con le natiche lontanissime tra loro mi godevo quel suo abile imburrare ma ho cominciato a godere davvero quando, mentre mi parlava di farcire cosce e bistecche, prima un medio, poi un indice e poi anche un anulare mi entravano e mi uscivano ruotando su se stessi, a volte singolarmente e a volte tutti insieme. Parlava di cibo e visto che continuava a dire di aver pronta la pietanza ho appoggiato le mani a terra, ho piegato le ginocchia, ho inarcato la schiena spingendo il culo un po’ in fuori e un po’ in su e ho aspettato con ansia quel suo manicaretto che ormai non vedevo l'ora di gustare. Una volta sistemato il ripieno mi ha messo una mano su una spalla e l’altra su un fianco, mi ha raddrizzato e poi…poi scendeva e poi saliva e poi quel suono simile a quello del pestacarne che appiattisce cotolette, braciole e fettine e poi…poi saliva e poi scendeva e poi quel pensiero, quello di essere nient’altro che un pezzo di manzo farcito e poi…poi scendeva e poi saliva e poi quel caldo che avevo e sentivo dentro che era più intenso ma più piacevole di quello che avevo e sentivo fuori e poi…poi saliva e poi scendeva e poi…poi non ho capito più nulla e ho iniziato a cuocere. Friggevo cercando di farlo il più piano possibile per non attirare attenzioni ma in fondo speravo che succedesse, arrostivo e mi immaginavo grigliato in un grande barbecue a base del mio essere carne di vacca, crogiolavo e mi vedevo guarnito come un tacchino ripieno adagiato su un piatto ovale al centro di un grande tavolo attorniato da una pletora di commensali affamati, rosolavo e mi sentivo come un maiale cotto allo spiedo, bollivo felice nel mio brodo ed ero talmente preso dal farmi cucinare che mi sono accorto del giovane con il contorno pronto da servire tra le mani, solo quando uno schiocco di dita lo ha fatto accorrere a riempirmi la bocca di una deliziosa primizia fresca di stagione che era giusto quel che mancava per far si che questo, che sembrava un semplice pic nic, diventasse un pranzo degno di questo nome. Il compito di continuare la mia cottura è toccato presto al nuovo venuto che però, vista l’esuberanza, l’inesperienza, la troppa fretta e il conseguente elevato rischio di bruciare tutto, sono stato costretto ad allontanare alla svelta dalla cucina. Mentre aspettavo accomodato sui talloni che il forno mi si raffreddasse, non ho potuto fare altro che restare a bocca aperta a guardare con quanta maestria uno e quanta impazienza l’altro montavano la crema con cui avrebbero di li a poco riempito i cannoli, cannoli che mi aspettavo gustosi ma che purtroppo erano talmente fragili e ricolmi che mi sono semplicemente esplosi tra le mani, addosso, dappertutto, ovunque ma soprattutto in faccia, non appena ho accennato ad assaggiarli. A dirla tutta però è stata anche colpa mia: per vedere se li stavo imitando bene ho abbassato lo sguardo, mi sono distratto e in un attimo mi sono ritrovato glassato manco fossi una torta. Non sazio, ho subito ricominciato a mangiare olive e quindi lo Chef, avendolo ben chiaro, ha aiutato il nostro giovane amico che dovendo uscire con la fidanzata aveva una gran fretta di tornare a casa, prima a riempire e poi a svuotarmi di nuovo in faccia il suo capiente Sac a Poche. Dopo aver salutato l'apprendista, ci siamo diretti corricchiando lenti verso il parcheggio, lui con gli slip in mano che tanto a chi lo guardava sembravano un semplice fazzoletto e io, vacca per vacca, con la crema dei cannoli che ancora mi colava dal viso perché tanto a chi mi guardava sembrava semplice sudore. Il caso ha poi voluto che le auto fossero vicine e che ci fosse abbastanza tranquillità per fermarsi a far merenda con quello snack che il mio nuovo amico aveva nascosto, a dir la verità non troppo abilmente dato che lo avevo visto spuntare dal lato sinistro dei suoi corti pantaloncini sin da quando eravamo usciti sulla sterrata, e che è fuoriuscito già scartato e pronto per essere trangugiato non appena si è seduto al volante. Mentre finivo di bere il succo che conteneva, lo Chef runner ha ammesso che tutto quel correre e quel cucinare avevano messo appetito anche a lui e che quindi, prima di andare via avrebbe gradito mangiare qualcosa. Pur non essendo mia abitudine dare frutta al primo che mi capita, ho pensato che se avessi lasciato li dov’era ma soprattutto così com’era, quella che avevo sempre con me, avrei dovuto sicuramente portare l’auto a lavare gli interni perciò gli ho detto di prenderla pure ma nonostante si vedesse benissimo dove la tenevo gli ci è voluto lo stesso un po’ per tirarla fuori: si era incastrata dentro quelle fastidiose cose che di solito non metto, che non ho capito perché avevo rimesse prima di uscire dal boschetto e che sono giustamente e senza alcun pentimento da parte mia, rimaste al parco a far compagnia ad altra spazzatura. Rammaricandoci di non poter fare colazione assieme l’indomani; io avevo il mio impegno con quel fanculo di cliente normale e lui partiva per la Grecia quella sera stessa; ci siamo salutati non prima però di esserci scritti il numero di cellulare nello spazio tra il cazzo e l’ombelico e di esserci ripromessi di incontrarci al rientro dalle ferie per qualche altra…corsetta.
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